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Il tremore
della terra

Marina
BOBYLEVA

Anton Kushaev analizza i codici visivi della storia dell'arte e rimanda alla cultura moderna, in cui l'immagine ha vinto sul testo. Nel nostro tempo, i flussi di "immagini" che circolano nello spazio digitale sono diventati non solo un fenomeno della vita quotidiana, ma hanno anche contribuito allo sviluppo di un diverso tipo di pensiero e percezione. Le persone sono tornate di nuovo allo stato pre-discorsivo: descriviamo il mondo e lo percepiamo attraverso strumenti visivi. Le innumerevoli foto che appaiono e vengono inviate ogni giorno, i filtri e la correzione automatica integrata delle immagini, l'uso diffuso della visualizzazione come metodo per mostrare i dati: tutto questo è diventato un modo per descrivere il mondo che ci circonda, ma ha anche portato alla deformazione della sua rappresentazione digitale. Il processo a cui stiamo assistendo ora è stato descritto dal punto di vista teorico nelle sue fasi iniziali a metà degli anni '90 da Gottfried Böhm e Thomas Mitchell come una svolta "iconica", o "pittorica". A loro avviso, la fine della visione tradizionale di una storia dell'arte universale lineare ha fatto virare la disciplina verso una scienza delle immagini.

 

Kushaev esplora la propria logica delle immagini e dimostra la loro peculiare interazione, slegata dalla parola. L'artista cerca di simulare situazioni ambivalenti o contraddittorie che diventano conferma del reale.
Lo spettatore è perso, cerca di capire dove sia la parte superiore e dove quella inferiore, per determinare le consuete coordinate. Il risultato di una tale collisione
con qualcosa di ambivalente, distorto e non verbalizzato, è un allentamento della visione abituale delle cose. Le opere di Kushaev, da un lato, cercano di demistificare l'ordinario e, dall'altro, danno vita a una nuova mitologia.
Il suo approccio si basa sulla formazione di simboli o costellazioni di segni, che possono formarsi attraverso la stratificazione, il riarrangiamento e la sintesi di elementi disparati.
Le sue opere possono essere viste dal punto di vista filosofico come sistemi che indicano lo stato delle cose o la coesistenza di oggetti in uno spazio simile al vuoto. Figure e componenti autonomi sono combinati in disegni insoliti, che ricordano elementi della decorazione architettonica e dell'arte monumentale sovietica. A differenza dell'architettura, però, con la sua subordinazione alle leggi di costruzione e al principio utilitariо, le strutture nelle opere di Kushaev

sembrano cadere a pezzi e sembrano inaffidabili. Le immagini che si indovinano disorientano, paiono confuse, non corrispondono a quel che pare di primo acchito.

Nella serie "Tremori della terra", l'artista ha utilizzato come base per i suoi dipinti tessuti trovati o acquistati appositamente. Essi agiscono come testimonianza di una determinata cultura materiale. "Il tessuto, come un lego,", crede l'artista, "è

un pezzo della vita di tutti i giorni, dove i ready made svolgono il ruolo di portatori o marcatori del tempo". Alcuni tagli materici sono usati interi, su altri appare

una cucitura, che forma una sorta di stratificazione, una rottura. Kushaev appositamente non la maschera, al contrario, evidenzia questi punti di sutura

con una “linea grossolana”.
Le opere acquistano volume spaziale grazie alla loro pluralità di strati: il motivo e

il rilievo della superficie, la materialità dello strato di colore stesso, la frammentazione delle figure creano una tensione che calibra l'ottica dello spettatore nel processo di visione. L'artista vede nella barella rivestita in tessuto un elemento di arredo domestico:

 

“Per me si tratta di una connessione diretta tra la tela come oggetto per interni e

il mobile, che può essere percepito come una scultura a contatto diretto con

il corpo".

 

Kushaev è interessato alla possibilità di semplificare la pittura, pur

mantenendone la densità semantica. Sottoponendo le forme a diverse fasi di riduzione, rimuovendo strati di visualità, individua una serie di mezzi.

Così, nella serie "Tremori della Terra", un elemento evidente è il rosso, che, secondo l'artista, corrisponde al colore dello "stato caldo della realtà". Le figure scarlatte sembrano incombere, trasmettono un senso di ansia e instabilità, appaiono, nel tessuto della realtà, come una “macchia sulla carta da parati”. Il titolo dell'opera non è tanto un riferimento al film "Tremors", quanto al tremore provocato dalle esplosioni, alle persone che tremano alla vigilia dell'apocalisse.
Quando la terra trema, gli edifici crollano: le colonne si rompono, i muri si spezzano, i portici crollano. Non si tratta, tuttavia, di una semplice distruzione di edifici. L'architettura è l'incarnazione del potere, incarna letteralmente i sogni di chi governa.
Rimangono rovine, mostri della memoria. Coperte di terra e nascoste nel sottobosco, queste rovine, "non sempre terribili, ma sempre strane", continuano

a influenzare il presente.

Maggiori informazioni sulla mostra sul sito webdirectory

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