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Nika Parkhomovskaja 

“Russian-Speaking Theater Outside Russia”
(University of Zurich, 2024)
 

Un testo denso e appassionante che racconta la diaspora teatrale russa dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022. Parkhomovskaia traccia una vera mappa del teatro russo in esilio: da Berlino a Tbilisi, da Almaty a Tel Aviv, dove registi, attori e scenografi ricostruiscono un linguaggio teatrale “senza patria”.

L’autrice indaga come la lingua russa diventa sia un vincolo sia un punto d’appoggio: è il mezzo principale di comunicazione artistica, ma rischia anche di creare ghetti culturali. Emergono figure come Serebrennikov, Kulyabin, Didenko e Khamatova, che reinventano la scena europea e caucasica fondendo esperienze locali e memoria russa.

Il testo offre una visione complessa: il teatro in esilio non è solo sopravvivenza, ma laboratorio di nuove forme di libertà artistica, in cui il gesto scenico sostituisce la patria perduta.

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Penso che entrambe sentiamo che il teatro, una volta uscito dalla propria geografia, smette di essere solo “russo” e diventa uno spazio di respiro. Ho cercato di mostrare come questi artisti, partiti non solo per sfuggire
alla guerra ma anche al silenzio, vivano ora in una condizione
di passaggio costante — tra lingue, scene e paesi. La loro parola,
il loro gesto, sono nuovi modi di esistere quando la casa non è distrutta fisicamente, ma simbolicamente.

A volte credo che ciò che fanno oggi non sia un esilio, ma una metamorfosi. Il teatro russofono fuori dalla Russia non è più soltanto memoria culturale, ma un archivio vivente di resistenza.

E se prima il teatro a Mosca o a Pietroburgo era una tribuna,
ora è diventato una casa — ma in movimento. Credo che tu lo capisca
in modo particolarmente profondo. 

— Nika

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